Arte

“Revolutjia”, una mostra reazionaria

Male ha fatto il MAMbo (Museo d’Arte Moderna di Bologna) ad accogliere una brutta mostra che avrebbe dovuto ricordare la Rivoluzione d’ottobre, nella ricorrenza del centenario, ma ordita da burocrati russi, con uno spirito da dirsi stalinista, o magari, con aggiornamento, putiniano, tale da beffare e tradire i grandi valori che in quel momento miracoloso videro procedere a braccetto i portati di una rivoluzione politica con quelli dell’innovazione estetica. Il torto non è di partire da lontano, dato che Ilya Repin e Valentin Serov hanno ben rappresentato in Russia il grande asse del realismo-impressionismo e oltre. Ma il difetto sta nella penuria con cui sono presenti i riconosciuti campioni delle avanguardie. Di Larionov, se non sbaglio, c’è un solo dipinto, un po’ meglio trattata la Gonciarova. Appena un dipinto di Tatlin, e del resto tra più noti, mentre si tace di tutta la sua opera successiva rivolta all’innovazione in architettura. Assente El Lissitkij, mentre anche del suo omologo Rodcenko ci sono appena due lavori. Sembra quasi che i reazionari curatori della mostra abbiano voluto escluderne per principio tutte le manifestazioni che non passassero per la tela dipinta, con l’unica eccezione del lavoro teatrale “Vittoria sul sole”, di cui vengono offerti manichini recanti i costumi dei scena di quell’opera, inaugurale della grande stagione del Futurismo in versione russa. Appena un’opera di Chagall, oltretutto delle più viste, forse si arriva a due con Kandinsky, mentre l’unico grande protagonista di quegli anni ad avere una buona documentato è Malevich, seguito nelle varie tappe della sua animata carriera, fino a darcene una specie di retrospettiva a sé stante, del tutto sproporzionata rispetto alle dosi parsimoniose con cui ci vengono serviti altri capolavori dell’epoca. E non ce n’era neppure bisogno, dato che Malevich è stato varie volte presente dalle nostre parti. Rispetto a questa prudente “politica della lesina” nei confronti degli autentici protagonisti di quella fortunata stagione, si sono volute inserire altre presenze, tanto per ammonirci che noi occidentali sbagliamo a leggere quel periodo con gli occhi dello sperimentalismo. In fondo c’erano pure i Kustodiev, i Lentulov, e soprattutto i Filonov, che magari qualche sussulto d’avanguardia l’hanno avuto, negli anni buoni, ma poi sono rientrati nelle righe, docili alla parola d’ordine della reazione. Di Filonov non ci si trattene neppure dal mostrare un ritratto di Stalin, che, ahimé, potrebbe essere sbandierato come vera essenza di questa rassegna mediocre, o peggio, reazionaria. C’è addirittura un’ala, di sinistra lungo la visita, che ricorda una mostra di qualche tempo fa al Palaexpo di Roma, però sinceramente dedicata ai Realismi della stagione staliniana, dove si tentava di salvare qualche esponente dal disastro generale, ma in quel caso tutto era posto in chiaro, non si gabellava il prodotto nel santo nome di una rivoluzione ormai lontana, anzi, negata.
Questa triste apparizione è tanto più penosa in quanto contribuisce a far dimenticare al pubblico bolognese un ben diverso evento, risalente ai primi anni ’70. Lo ricordo con nostalgia perché vi ebbi una qualche parte, avevo saputo di una straordinaria mostra organizzata dalla Hayward Gallery di Londra, “Art in revolution”, con titolo volutamente ambiguo, in quanto si voleva significare lo stato dell’arte sotto la rivoluzione, ma quando essa stessa aveva inalberato una coraggiosa vocazione rivoluzionaria. Ed era perfetta, con piena attenzione proprio verso quegli aspetti architettonici che nel triste prodotto attuale sono stati esclusi, assieme al ricorso ad altri mezzi alternativi al pennello. In quel momento ero assistente alla cattedra di estetica di Luciano Ancesci, nominato presidente dell’ Ente bolognese manifestazioni artistiche, preposto sia a realizzare le famose biennali di Cesare Gnudi e compagni, sia le imprese non altrettanto significative che Franco Solmi conduceva quale direttore della nostra, non ancora esistente, Galleria d’arte moderna (infatti l’esposizione fu ospitata dal Museo civico). Ci si era schiodati dal realismo alla Guttuso, ma per approdare al cosiddetto nazional-surrealismo di Leonardo Cremonini e compagni. Fu incredibile che Anceschi riuscisse a convincere un PCI allora molto arretato a mandar giù il rospo, ad accettare quella mostra sconvolgente. Ora è triste notare che in tempi tanto diversi quel rospo i bravi burocrati russi sono riusciti a ricacciarcelo in bocca.
Revolutija, a cura di Eugenia Petrova e Joseph Kibilitsky, Bologna, MAMbo, fino al 13 maggio.

Standard