Il problema dominante resta quello dell’immigrazione dalla Libia. In proposito mi piacerebbe avere una risposta ad alcuni miei interrogativi, ma non sarà certo la mia voce pressoché inesistente ad ottenerla.
E’ possibile o no respingere unilateralmente la legge di Dublino, ovvero rifiutare lo sbarco degli immigrati se arrivano su navi battenti bandiere diverse dalla nostra, o senza nostra autorizzazione? Sarebbe il modo giusto di contrastare la pretesa di altri Paesi del Mediterraneo di sottrarsi all’obbligo dell’accoglimento. Naturalmente non ci rifiuteremmo al dovere di fornire acqua, cibo, assistenza medica al carico di immigrati salvati da questi battelli stranieri. C’è il rischio che, in vista del pericolo di doversi tenere a bordo gli ospiti indesiderati, gli equipaggi di queste navi fuggano via, lasciando annegare, fingendo di non vedere i disgraziati incontrati sulle loro rotte, ma sarebbe un grave venire meno alle leggi umanitarie e della navigazione.
Probabilmente, ammettiamolo, abbiamo impostato male il problema in generale, non si tratta di sistemare i migranti qua e là nelle nostre località, pretendendo che gli altri Paesi dell’EU ne prendano quote concordate. Come ho già osservato, dovremmo attenerci al modello turco, che pare avere funzionato per sbarrare la rotta balcanica. Ovvero, l’Europa dovrebbe finanziare dei centri di accoglienza da noi allestiti, nel nome dell’efficienza e del rispetto dei diritti umani, evitando che questi di fatto agiscano astutamente come colabrodi, liberandoci di quelle importune presenze, lasciandole evadere, e così determinando lo spargersi a pioggia di persone senza fissa dimora e occupazione che vanno a premere alle frontiere per varcarle di soppiatto, provocando gli atteggiamenti di rigetto dei relativi Paesi, si vedano le crisi di Ventimiglia, o del Brennero, o di Calais. In questi “hub”, condotti come si deve, e in numero adeguato, si dovrebbe tentare la tanto reclamata cernita tra i fuggiaschi da guerre e dittature, e invece gli emigranti cosiddetti “economici”. Ma sapendo che una distinzione del genere è difficilissima, e in definitiva anche ingiusta, E che non è possibile il rinvio degli “economici” ai Paesi di origine, del tutto indisponibili a riprenderseli, nonostante il valoroso sbracciarsi di Minnniti. In questi “hub” gli immigrati dovrebbero rimanere, ma trattati come si deve, in attesa di futuri eventi, oppure potrebbero accogliere l’invito a svolgere attività lavorative, e in tale veste si potrebbe procedere a una loro ridistribuzione mirata, nei vari luoghi d’Italia e anche all’estero. Diciamoci una grande verità, contro lo spettro della disoccupazione giovanile, che aleggia non solo da noi ma in ogni altro Paese sviluppato. I nostri giovani si rifiutano a ogni lavoro manuale, operaio, artigianale, considerato di basso profilo, essi mirano solo a occupazioni di buon livello amministrativo, commerciale, bancario, informatico. E dunque, sono proprio le nostre aziende a denunciare per prime la mancanza di braccia, ricorrendo in larga misura agli extra-comunitari già accolti presso di noi. E sono proprio loro, come giustamente ci avvisa Boeri, a dare un forte contributo al nostro Pil, e anche alla cassa pensioni. Qui si profilerebbe un grande compito per i sindacati, di gestire questa ridistribuzione fondata su braccia di immigrati per andare a svolgere lavoro ai bassi livelli, con relative eque retribuzioni, da sottrarre ai controlli del caporalato.
Naturalmente, ancora più ragionevole sarebbe che questi “hub” sorgessero sulle coste della Libia, a spese dell’Eu, o ai confini tra questa e le popolazioni subsahariane, ma prima che ciò sia possibile dovranno passare decenni. E dunque, al momento, l’Italia funzioni in parallelo con quanto realizzato da Erdogan, anche se l’accostamento può parere irritante e perfino blasfemo.